venerdì 21 febbraio 2014

Antonello De Rosa in Traccia di Mamma

Di Aristide Fiore
Locandina dello spettacolo.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 21 febbraio 2013, p. 9.]
Questa sera, a Cava de’ Tirreni, presso la sede del Social Tennis Club, avrà luogo un evento dedicato alla solidarietà, con lo spettacolo Traccia di mamma: Chi aiuta un bambino aiuta il mondo, scritto, diretto e interpretato da Antonello De Rosa e liberamente tratto da Mamma: piccole tragedie minimali di Annibale Ruccello (1956-1986). L'incasso sarà interamente devoluto all’associazione OASI – ONLUS di Nocera Inferiore, impegnata nell'assistenza e nella promozione della ricerca nel campo dell'ematologia e dell'oncologia in età pediatrica. Abbiamo chiesto all'attore-regista salernitano di parlarci dell'allestimento e dell'iniziativa a esso collegata.
Nel corso della sua carriera artistica si è già occupato di solidarietà?
«Da circa quattordici anni sono responsabile per la teatroterapia presso l'UILDM (Unione Italiana per la Lotta alla Distrofia Muscolare). Inevitabilmente ho sviluppato una forte sensibilità verso le problematiche inerenti la salute. L'incontro con l'OASI onlus è stato casuale. Ho visitato il Centro di oncoematologia pediatrica dell'ospedale Umberto I di Nocera Inferiore, con il quale l'associazione collabora, e sono rimasto profondamente colpito dalla realtà in cui operano. Mi son detto: «Davvero siamo incapaci di fare qualcosa?» e ho deciso di sposare la loro causa, mettendo a loro disposizione la mia professionalità per allestire spettacoli il cui ricavato sia interamente impiegato per le finalità dell'associazione. Ciò implica l'individuazione di spazi, risorse e figure professionali che si rendano disponibili a titolo gratuito. Sotto questo aspetto ho potuto contare sulla loro collaborazione, fondamentale per la realizzazione di questo progetto e soprattutto per assicurarne la riproposizione.»
Foto di scena.Salta all'occhio l'analogia fra la sua esperienza con i disabili e quella di Francesco Silvestri, un attore e drammaturgo la cui carriera teatrale iniziò con l'animazione in carceri e strutture dedicate ai diversamente abili, il quale tra l'altro ebbe modo di collaborare proprio con Ruccello.
«Non si tratta dell'unico tratto comune: fra me e Silvestri, al quale sono legato da grande amicizia, è avvenuto un vero e proprio passaggio di consegne, prima quando propose di affidarmi la rappresentazione di Episcopus di P. Puppa con la regia di Pasquale De Cristofaro, dopo averlo portato a un successo consolidato attraverso numerose repliche, e poi quando interpretai il ruolo principale nel suo Fratellini.»


In che modo lo spettacolo si collega alle tematiche poste in luce da questa iniziativa, dedicata ai piccoli degenti?


«Innanzitutto si tratta di uno spettacolo ben collaudato, che mi vede impegnato da circa vent'anni. Per quattro o cinque anni ho interpretato l'originale di Ruccello, inizialmente con tre attrici e in seguito da solo. “Mamma” si compone infatti di quattro monologhi, pronunciati da altrettanti personaggi: la mamma che racconta le fiabe, la mamma che impazzisce perché chiusa in un manicomio, la mamma sempre attaccata al telefono, che confonde la sua vita quotidiana con le telenovelas che vede in tv, e infine la mamma timorata di Dio, che non accetta la gravidanza della figlia ancora non sposata e in giovane età. A un certo punto ho deciso di trarne una storia incentrata su un unico personaggio, basato su quello della madre rinchiusa in manicomio e su quello della madre bigotta. Nel compiere questa operazione, ho attinto molto dalla mia esperienza di teatroterapia nei centri di igiene mentale e in altri luoghi nei quali si entra in contatto con una sofferenza che ho preferito rappresentare indirettamente, veicolandola attraverso la messa in scena. Il disagio del quale sono stato testimone deriva anche da situazioni che coinvolgono i minori. Prima di venire a contatto con la realtà nella quale opera l'Oasi, ho operato presso strutture che accolgono minori a rischio e nell'ambito di quell'esperienza mi sono imbattuto in una ragazzina scacciata dalla famiglia a causa di una gravidanza: era un caso di infanzia bruciata, una persona poco più che adolescente, resa precocemente adulta dalle terribili circostanze nelle quali si era trovata, che, forse, proprio in virtù di ciò, si sforzava di andare avanti e tenere il bambino. L'analogia col dramma del personaggio che interpreto è evidente. Sullo sfondo si intravede quello stesso velo di ipocrisia che riesce persino a offuscare la sfera affettiva. Nella realtà, come nella finzione, si ha a che fare con una manifesta incapacità di essere madre, che si ripercuote sulla figlia. Nello spettacolo, il delirio della madre folle e bigotta si spinge fino alla blasfemia, all'identificazione con la Madonna, della quale crede di essere la reincarnazione. Dialogando con la statua della Vergine, la madre per eccellenza, le affida l'anima perduta della figlia, nella consapevolezza di non essere riuscita a salvarla, avendone anzi determinato il suicidio.»

Traccia di Mamma è dunque un titolo doppiamente evocativo.

«Direi di sì, sia in quanto riferito al materiale di partenza sia quale sintesi di personaggi e situazioni comuni e tuttavia emblematici. La funzione del teatro è infatti non quella educativa, ma piuttosto quella rieducativa: deve mirare al recupero dei valori.»
Foto di scena.

Interpretare personaggi femminili richiede abilità non comuni, a meno che non lo si intenda, riduttivamente, come recitazione en travesti. Qual è il fascino di questa sfida?

«Come mi disse una volta Francesco Silvestri, per interpretare un personaggio femminile non basta “fare la donna”: bisogna “esserlo”. La figura dell'attore ha infatti una connotazione dionisiaca. L'attore è come gli angeli, è asessuato, e in quanto tale è in grado di trascendere la propria natura. I personaggi femminili sono resi interessanti dalla loro psicologia, più complessa di quella maschile. Inoltre mi affascina la comunanza fra la donna e la figura dell'attore, entrambe capaci, ciascuna a suo modo, di generare, di dar vita a altri esseri umani o a personaggi.»

sabato 1 febbraio 2014

Un muro d'amore contro l'odio

Di Aristide Fiore
La "scala della morte" a Mauthausen.
La "scala della morte" a Mauthausen.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 30 gennaio 2014, p. 16.]
Nell'ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, sabato scorso si è tenuto a Salerno, nell'ex chiesa di Santa Apollonia, un incontro organizzato dall'Associazione Studio Apollonia, in collaborazione con ANED IT, Associazione Daltrocanto, Bottega San Lazzaro, Museo dello Sbarco e Salerno Capitale, Fornace Falcone, Senza Periferie e Arcigay Salerno. La manifestazione era articolata in tre momenti: “Oltre il Silenzio”, un contenitore di riflessioni, intervallate con musica e canti della Compagnia Daltrocanto. Ha suscitato viva emozione l'intervento di Ernesto Scelza, che, accompagnato alla chitarra da Antonio Giordano della Compagnia Daltrocanto, ha letto una sua composizione intitolata Il secolo guasto / Un canto sommesso”, scritta per l'occasione. La presentazione del volume di Grazia Di Veroli La scala della Morte. Mario Limetani da Venezia a Roma, via Mauthausen è stato l'evento centrale della serata; alcuni brani dell'opera sono stati letti da Pasquale De Cristofaro. Il programma si è concluso con un’azione performativa che ha coinvolto tutti i presenti, i quali sono stati invitati a abbattere, un mattone dopo l'altro, un simbolico “muro della vergogna”, al quale si contrapponeva un candido “muro d'amore”, sul quale una allieva della Scuola Elementare “Arbostella” ha scritto parole di speranza.
Pubblicato da Marlin Editore in concomitanza col 70° anniversario della deportazione romana del 4 gennaio, il volume di Grazia Di Veroli narra la storia di Mario Limentani, nato nel 1923 a Venezia e trasferitosi con la famiglia a Roma, deportato a Mauthausen nel dicembre del 1943, in seguito a un rastrellamento, essendo stato riconosciuto come ebreo. Il protagonista di quest'opera si trova di colpo dalla parte delle vittime, prima perché colpito dalle leggi razziali e poi a causa della deportazione, fino aapprodare nella dimensione disumana e spersonalizzante del lager, che per moltissimi fu l'anticamera della morte. Secondo l'autrice, l'oltraggio delle tre teste di maiale, che ha colpito la comunità ebraica di Roma rende molto più pesante il clima di queste celebrazioni per la Giornata della memoria. Il libro su Mario Limentani si deve all'impegno del protagonista a trasmettere la propria esperienza alle nuove generazioni, proprio allo scopo di evitare certe pericolose ricadute. Nel suo racconto sono esposte le dolorose vicende che caratterizzarono circa un anno e mezzo di prigionia, senza tuttavia ricorrere mai a espressioni di rancore né indugiare in dettagli particolarmente crudi. Scorre così, mediato da un romanesco semplice e diretto, il racconto di fatti che, riconsiderati nella loro intera portata, rasentano l'indicibile: le percosse, l’espropriazione di tutti i beni, la moltitudine delle lingue parlate nel campo, la fame e, soprattutto, il ricordo indelebile del lavoro forzato nella cava, con la famigerata “scala della morte”: 186 gradini ripidi e scivolosi da salire e scendere continuamente per almeno dodici ore al giorno, con un masso di granito sulle spalle; una pena da poema dantesco, resa concreta dalla ferocia sadica delle SS. Molti internati perdevano la vita in quel luogo, per sfinimento o precipitando nel burrone sottostante. A tali orrori fa da contraltare l'invito alla speranza che traspare dall'epilogo di questa storia, col ritorno alla normalità e la formazione di una nuova famiglia. Secondo Alfonso Conte, la validità delle testimonianze di quegli avvenimenti è incontrovertibile, dunque non è necessario perdere tempo a contestare le tesi negazioniste, ormai palesemente infondate. Va piuttosto coltivata, attraverso la valorizzazione di questo patrimonio, l'attenzione per gli ultimi, la capacità di soffermarsi anche sugli aspetti più semplici della quotidianità. In poche parole, bisogna evitare che le necessità e le angosce ignorate, come è già successo, determinino nella società la predisposizione a cercare pericolose scappatoie nell'individuazione di capri espiatori e nell'instaurazione di regimi liberticidi.
Il "Muro d'amore".
Il "Muro d'amore" (foto: A. Fiore).