venerdì 27 giugno 2014

Il Coro Casella incontra la città


Il Coro Casella col suo direttore.
di Aristide Fiore

[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 27 giugno 2014, p. 8.]
Prima di intraprendere una tournée in Normandia per partecipare al festival internazionale "Voix et Chemins", il Coro polifonico Casella, diretto dal Maestro Caterina Squillace, saluterà la città esibendosi alle 20:00 di domani sera nella Chiesa di Santa Lucia de Giudaica.
L'ensemble salernitano, il cui repertorio comprende la musica polifonica a cappella dal '500 ai compositori contemporanei, è nato nel 1984 e ha intrapreso fin dall'inizio una intensa attività artistica, che annovera la partecipazione a concorsi nazionali e internazionali quali la XIX edizione del Concorso Internazionale di Canto Corale “Praga Cantat” (Praga, 2005), in occasione della quale ha ottenuto la Medaglia d’oro. Il suo impegno nella divulgazione e diffusione della musica si esplicita nella promozione di stages e importanti eventi, come la collaborazione con la “Nuova Orchestra Scarlatti” di Napoli per la manifestazione “TuttinCoro”, tenutasi nel 2006 presso l’Auditorium della RAI di Napoli. Dal 1994 organizza, con cadenza biennale, la Rassegna Internazionale di Cori Polifonici "Cantare Amantis Est", che è caratterizzata dalla ricca varietà di generi musicali, dalla musica polifonica antica a quella di più recente composizione, dal jazz al folk, dal gregoriano al gospel, dalla musica barocca al pop e deve il suo successo, oltre all'attenta selezione dei partecipanti, anche all'ambientazione in luoghi solitamente non accessibili, offrendo un'occasione per riscoprire alcuni tesori storico-artistici della nostra città. Il direttore del coro, Caterina Squillace, è stata premiata come “Miglior Direttore” al IV Concorso Corale Nazionale “Città di Porto Empedocle” e ha ottenuto una menzione speciale della giuria per la “migliore direzione del brano d’obbligo” al XIX Concorso Internazionale “Praga Cantat” tenutosi a Praga (Repubblica Ceca). Dirige il Coro Polifonico “Casella” di Salerno dal 1990.
La prima parte del concerto sarà dedicata al repertorio sacro e inizierà con un mottetto in latino di un autore anonimo del XIII secolo, “Alle psallite cum luya”, inserito nel “Codice di Montpellier” e di presumibili origini francesi. Si passerà poi a due brani di Antonio Lotti, autore del XVII secolo, la cui opera è considerata come parte della transizione fra la musica barocca della sua epoca e quella classica, che iniziava ad emergere: “Regina Coeli” e “Salve Regina”. Successivamente saranno eseguiti brani di musica contemporanea: “Regina Coelorum” di Marco Ferretti, “Ave Maria” di Roberto Padoin, “O Bone Jesu” e “Lux aeterna” di Fernando Moruja, autore argentino prematuramente scomparso, e infine “Alma Redemptoris Mater” di Orlando Dipiazza.

La seconda parte del concerto sarà introdotta dal più antico controcanto conosciuto, “Sumer is icumen in”, composto nel XIII secolo, in Inghilterra, da autore anonimo. Il gioioso saluto all’inizio della bella stagione continuerà con la prima delle due chansons di Clément Janequin comprese nel programma: “Le Chant des oyseaux”, in cui le voci riprodurranno il canto ed i versi degli uccelli in un bosco. Seguirà il madrigale “Io v’amo vita mia” di Vittoria Aleotti, clavicembalista e monaca: una delle poche donne che nel Rinascimento si avvicinarono alla composizione musicale. Successivamente sarà la volta della seconda chanson di Janequin, “La Guerre”, composta nel 1515 per celebrare la vittoria della Francia sulla Svizzera nella battaglia di Marignano; in essa l’uso delle onomatopee riproduce efficacemente il clangore delle armi, il fragore delle bombarde e dei cannoni. L’atmosfera cambierà completamente con “Frammenti Amorosi”, una composizione per coro a tre voci femminili, liberamente tratta dai “Fragments d’un discours amoureaux” di Roland Barthes, nella quale si sublimano i sentimenti dell’"Assenza” e dell’"Attesa” dell’amato e si ama l’Amore più dell’amato; testo di Giuseppe Calliari e musica di Sandro Filippi. Sarà poi eseguito “Clic clac, dansez sabots” per coro a voci virili di Francis Jean Marcel Poulenc, brano scherzoso e umoristico che evoca una scena di vita quotidiana della Francia degli inizi del XX secolo. Il concerto si concluderà con “Vecchie letrose” di Adrian Willaert, autore fiammingo fra i più versatili compositori del Rinascimento, in cui viene rappresentato un litigio fra popolane della Napoli del tempo, le cui grida rimandano al latrato di un cane.

giovedì 29 maggio 2014

Musica da camera: otto giorni a Sant'Apollonia

Di Aristide Fiore
Franco Massimo Lanocita, Anna Bellagamba, Olga Chieffi,
Giuseppe Natella (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 29 maggio 2014, p. 13.]
Il Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno - Dipartimento di Musica d’Insieme e l’Associazione Bottega San Lazzaro hanno presentato ieri, presso il salone del Gonfalone di Palazzo di Città, il I festival di Musica da Camera Sant’Apollonia, che si terrà a Salerno dall'1 all'8 giugno 2014. La rassegna, nata dalla sinergia tra il Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno, tramite il Dipartimento di Musica d’Insieme e l’Associazione Bottega San Lazzaro, è inserita nella kermesse Salerno Porte Aperte e avrà luogo nella Chiesa di Santa Apollonia, chiudendo in bellezza il primo anno di attività dello Studio Apollonia.
A illustrare il programma, che vedrà impegnati gli allievi del nostro conservatorio dal I all’8 giugno, ogni sera alle ore 20, il vice-presidente Franco Massimo Lanocita, il professore Giuseppe Natella, responsabile della Bottega San Lazzaro, e le docenti del “G.Martucci” Francesca Taviani, presidente del suddetto dipartimento, e Anna Bellagamba, referente del settore disciplinare Musica da Camera, ideatrici del progetto.
La rassegna si articolerà in otto serate a tema, che vedranno protagonisti i giovani allievi dei corsi di Musica d’insieme e da camera del Conservatorio. I programmi, che spaziano dall’Ottocento all’Avanguardia, coinvolgeranno più di quaranta studenti in diverse formazioni strumentali e vocali.
Il concerto inaugurale del 1 giugno, intitolato “Attraverso l’Europa”, ripercorrerà alcuni aspeti particolarmente significativi della geografia musicale del continente: la Germania con il Trio op.11 in Sib Magg. per pianoforte clarinetto e fagotto di Beethoven; la Francia con la sonata per violino e pianoforte in la maggiore di César Franck, nella trascrizione per flauto; e, per finire, la Russia con il Trio Pathétique di Mikhail Glinka. Il 2 giugno, la serata sarà dedicata alla “Poesia per musica”: i versi di Heine, Ruckert, Goethe, Verlaine, Puskin si ritroveranno nelle melodie di Schumann, Schubert, Faurè, Debussy, Rachmaninov, con una incursione nella romanza da salotto di Tosti e le miniature di Donizetti, Rossini e Verdi.
Francesca Taviani
e Anna Bellagamba
(foto: A. Fiore).
Salerno vanta la nascita della scuola italiana di sassofono: la prima cattedra dedicata a questo strumento è stata istituita nel suo conservatorio. L’appuntamento del 3 giugno vede, quindi, protagonista questo strumento, che, sin dalla sua nascita, ha indovinato la fisionomia espressiva e eclettica del secolo breve, qui impegnato in formazione “quattro più due” in una trascrizione dei “Quadri di un’esposizione” di Modest Musorgskij, già affidati al sax alto nel movimento intitolato “Il vecchio castello” della famosa versione orchestrale di Maurice Ravel. La stessa formazione eseguirà la Suite Hellénique di Pedro Iturralde. “Insolite combinazioni” è il titolo del concerto del 4 giugno, in cui violino e chitarra s’incontreranno nella sonata in Mi bemolle HWV 375 di Haendel, per chiudere con il Trio in do minore op.66 di Felix Mendelssohn. La musica per “Archi e pianoforte” verrà invece omaggiata il 5 giugno, con lo splendido movimento di quartetto con piano di Mahler, opera incompiuta che risale all'infanzia del musicista, citata esplicitamente nel thriller psicologico "Shutter Island" di Martin Scorsese. Completerà il programma il “Forellen-Quintett” in La D667 di Franz Schubert. Il 6 giugno “Fiato alle trombe!”: saranno di scena i brillanti ottoni del brass ensemble del Martucci, introdotti però dai virtuosismi di due flauti che s’inseguiranno sui temi verdiani della Rigoletto-Fantaisie di Franz e Karl Doppler. Da Manouvrier al Capriccio di Musorsgkij si passerà quindi a una pagina contemporanea di Edgar F Girtain IV: “Images of Chaiten”; per concludere, una delle più amate marce di John Philip Sousa: “Washington Post March”. Ben due fiabe in musica prenderanno vita in Sant’Apollonia il 7 giugno. La prima sarà “La boìte à joujoux”, di Claude Debussy, un balletto destinato all'infanzia, ma come spettacolo di marionette. Un quartetto di sassofoni con voce recitante eseguirà invece "Pierino e il lupo" di Sergej Prokofiev. La serata conclusiva di questo piccolo festival, prevista per l’8 giugno, ha per tema “Verso il futuro”: uno sguardo in planata, che parte dal Quartetto op. 22 di Anton Webern, in cui la scelta dell’organico si avvicina al gusto jazzistico, passando per i doppi suoni e gli armonici del III Arabesque di Ichiro Nodaira per sassofono, la combinazione timbrica del flauto e del clarinetto del Choro n°2 di Heitor Villa Lobos, la musica marina per due sax alti di Christian Lauba in Adria, un omaggio al Mar Adriatico dedicato a Federico Mondelci, e salutare il pubblico con la Suite Bourgeoise di Malcolm Arnold.
Come sottolineato da Anna Bellagamba, il conservatorio è sia una scuola di musica sia un centro di produzione. La didattica è interconnessa con la produzione al fine di realizzare pienamente l'aspetto comunicativo del fare musica. Il Dipartimento di Musica d’insieme, fiore all'occhiello del Conservatorio di Musica Giuseppe Martucci di Salerno, da molti anni infatti imposta tutta la propria attività didattica intorno a progetti di produzione artistica. Ai saggi e ai concerti organizzati all'interno del Conservatorio si affiancano iniziative che portano gli studenti all'esterno dell'Istituzione e della città di Salerno, dando loro la possibilità di suonare in diversi contesti e ambienti.
Il Festival di Musica da Camera Santa Apollonia nasce con l’intento di diventare un’occasione d’incontro fra la città e i suoi giovani musicisti. Secondo l'auspicio del vicepresidente Lanocita, la riuscita quest'ulteriore iniziativa, aggiungendosi all'ampio consenso già riscosso in seguito a analoghe proposte, potrebbe indicare che i tempi siano maturi per la fondazione dell'Associazione "Amici del Conservatorio", mediante la quale creare i presupposti per ampliare l'offerta culturale in un territorio così ricco di talenti come la provincia di Salerno e al tempo stesso fornire nuove opportunità di sviluppo a un laboratorio sempre più capace di incanalare energie creative provenienti dalle più diverse esperienze.

venerdì 9 maggio 2014

La luna di guerra di Erri De Luca

di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 1 maggio 2014, p. 11.]
Locandina della manifestazione.
La Napoli dell'estate 1943, martellata dai bombaramenti alleati e poi insorta, nelle famose Quattro giornate, per cacciare gli occupanti tedeschi, rivive in “Morso di Luna Nuova” di Erri De Luca, lo spettacolo teatrale a cura del LaB-laboratorio Teatro degli Attori, con Ciro Girardi, Tonino di Falco, Rosaria Vitolo, Adriana Fiorillo, Gigi Vernieri, Aldo Arrigo, Salvatore Paolella, Claudio Collano, Biancarosa Di Ruocco e la regia di Franco Alfano, andato in scena lunedì nel complesso di Santa Sofia, nell'ambito della manifestazione “Resistenze”: un programma di eventi culturali dedicato ai temi concernenti il venticinque aprile e il primo maggio, con il quale si intende delineare un ideale collegamento tra le due festività civili, incentrato sul rapporto tra arte e impegno sociale.
Un gruppo di persone si incontra ripetutamente in un rifugio antiaereo, sotto i bombardamenti alleati, accomunati forse solo dalla paura che cercano di scacciare come possono: pregando, declamando vani proclami roboanti ai quali a poco a poco si finisce col non credere più, immaginando di ottenere futili vantaggi dalla situazione anomala o abbandonandosi a fantasie innocenti.

L'evoluzione del conflitto, l'orrore per le morti e le distruzioni, le speranze illusorie: tutta la storia di quei giorni terribili attraversa quel piccolo spazio. Una scena completamente spoglia, un fondo nero uniforme rende quasi palpabile il buio che avvolge uomini e donne costretti a vivere come topi. A ogni cambio di scena si popola di immagini e suoni scelti da Elena Scardino, che amplificano il senso immane della tragedia rievocato dai racconti dei personaggi. Alla fine anche Roma viene bombardata e il fascismo cade. Sembrerebbero buone notizie: la guerra potrebbe terminare. Quel primo, illusorio entusiamo lascia però subito il posto allo sgomento: si tratta solo di «altri morti nostri». Gli americani, nel frattempo, sono sbarcati a Salerno e stanno avanzando verso nord, ma indugiano a attaccare Napoli, sperando in un'imminente ritirata dei tedeschi da una città indifendibile, ormai stremata e in preda ai rastrellamenti. L'angosciosa attesa degli otto occupanti del rifugio, ai quali in seguito si aggiungerà un insorto, pronto come loro all'azione, si risolve nella decisione di ribellarsi. Con lo spuntare della luna nuova di settembre torna una flebile luce, che è già un segno di speranza. Cadono le maschere, le ipocrisie, le false sicurezze; si rivelano tuttavia anche virtù inaspettate e nuove prospettive: esiste un'organizazione che recluta chiunque possa imbracciare un'arma, ma ben presto si unirà a loro un intero popolo, armato di tutto ciò che gli capita a tiro, di quegli oggetti quotidiani resi quanto mai preziosi dalle confische e dalle privazioni della guerra, improvvisamente trasformati in munizioni improprie ma in qualche modo efficaci. Ancora una volta, a complemento dell'azione scenica, scorrono sullo sfondo delle immagini, stavolta tratte dal film Le Quattro giornate di Napoli (1962), diretto da Nanni Loy: i combattimenti nelle strade, la liberazione dei prigionieri nello stadio del Vomero (girata al Vestuti di Salerno, con comparse locali), l'attacco ai carri armati con le moltov e la morte eroica del piccolo Gennarino Capuozzo (medaglia d'oro al valor militare). Certo, riproporre la coralità del film, pur muovendosi palesemente su quel solco, sarebbe stato impossibile, e forse persino inutile. Un valido spunto per la riuscita di questa rappresentazione è stato il voler trasmettere il senso del dramma collettivo, intensificandolo attraverso le storie dei personaggi, la loro umanità.

sabato 15 marzo 2014

L'effetto presenza di Beppe Fiorello

Di Aristide Fiore
Primo piano di Beppe Fiorello.
[Pubblicato su Le Cronache del Salernitano, 15 marzo 2014, p. 12]
Calorosi applausi hanno salutato l'approdo di Penso che un sogno così... al massimo cittadino. In questo spettacolo, scritto da Beppe Fiorello e Vittorio Moroni, e diretto da Giampiero Solari, si ribalta il punto di vista della fiction “Volare”, uno dei successi televisivi dell'attore catanese: la carriera di Domenico Modugno (Mimì) viene ripercorsa stabilendo un parallelo tra la storia del cantautore salentino e quella di un operaio ferroviario catanese, «un ragazzo con due baffi da moschettiere e gli occhi pieni di speranza», a lui straordinariamente somigliante e come lui dotato di talento canoro: il padre di Beppe, che rievoca entrambe le vicende attraverso i suoi ricordi d'infanzia. I vari episodi di vita familiare, alternati con le contemporanee vicissitudini di Modugno, sono scanditi da alcune delle sue canzoni più famose, interpretate da Fiorello con uno stile “più vero del vero”, molto al di là di una semplice imitazione, e quasi tutte accompagnate dal vivo da Daniele Bonaviri, Fabrizio Palma e dall'attore stesso, nell'insolita veste di percussionista. Si parte con le canzoni dialettali, quelle degli esordi, che rivelarono la novità di un repertorio che, attraverso figure di animali e lavoratori, si faceva interprete della realtà preindustriale, destinata, nei decenni successivi, a essere a poco a poco trasformata dal decollo dell'economia. Alcune di esse sembravano fatte apposta per descrivere le situazioni vissute dalla famiglia Fiorello: dai lunghi viaggi in auto, che in realtà coprivano poche decine di chilometri, alle riunioni famigliari, accompagnate da interminabili mangiate condite coi racconti dei commensali, alle feste patronali, monopolizzate da un notabile che aveva fatto fortuna in America, ai personaggi curiosi, sul conto dei quali circolavano strane dicerie. E fu proprio grazie a uno di loro, un presunto lupo mannaro soprannominato “'o lupinaro”, in realtà un innocuo signore basso e grassoccio, timoroso della propria moglie, che il piccolo Beppe entrò in contatto con le canzoni di Modugno. In cambio di un po' d'aiuto, fornito con riluttanza dal bambino intimorito, l'ometto gli regalò la prima cosa che gli capitò sotto mano: un logoro disco a quarantacinque giri con “Nel blu dipinto di blu”, la canzone giusta al momento giusto, per un popolo che si accingeva a spiegare le ali e lanciarsi verso il boom economico. Dai ripetuti ascolti, attraverso i dischi, la radio, la televisione e le interpretazioni di quel padre così somigliante al grande Mimmo, nacque il sogno che ha portato un bimbo incompreso, preso in giro da tutti per la sua riservatezza, a impersonare il cantautore prima in televisione e poi in teatro, fino a raggiungere un “effetto presenza” che ha davvero emozionato il pubblico, come dimostrato dai frequenti applausi “a scena aperta”.

lunedì 10 marzo 2014

La narrazione avvolgente di Paolo Zardi

Di Aristide Fiore
Copertina di "Il giorno che diventammo umani".
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 10 marzo 2014, p. 12]
Al settimo appuntamento della rassegna La versione di Marte. Libri, incontri d'autore, narrazioni, coordinata e curata da Davide Speranza da un concept di Alfonso Amendola, venerdì scorso è stata la volta del volume Il giorno che diventammo umani, di Paolo Zardi (Neo Edizioni). Sono intervenuti con l'autore, presso la Mediateca MARTE di Cava de' Tirreni, Maria Olmina D'Arienzo (dirigente del Liceo Scientifico “A. Genoino” di Cava de' Tirreni), Gemma Criscuoli (pubblicista), Pietro Balzano (lettore MARTE) e l'attore Niccolò Farina, che ha letto alcuni racconti.

Per Pietro Balzano, leggere questi racconti è stato davvero come ricevere un pugno nello stomaco, già a partire dal primo, “Domenica pomeriggio” con il quale Zardi manifesta fin dall'inizio la crudezza di linguaggio e immagini che ricorre nel volume, lasciando il lettore senza fiato e catturandolo con una narrazione coinvolgente. Un libro insolito e dirompente, dunque, che in definitiva, nonostante l'atmosfera cupa che lo pervade, si potrebbe considerare un libro d'amore. Il carattere non comune dell'opera è uno dei suoi punti di forza anche secondo la professoressa D'Arienzo, che ne ha lodato la perfezione linguistica e lo stile diretto, privo di orpelli, ma al tempo stesso curatissimo. Si nota particolarmente l'accuratezza degli accorgimenti formali: sintesi, essenzialità, realismo, mimesi linguistica: Zardi si mette davvero nei panni dei protagonisti, per condurre il lettore attraverso una discesa negli inferi che a ben vedere è la premessa di una risalita. Alcune storie terminano con un elemento inatteso: è lo stesso schema delle barzellette, qui adottato per conferire loro un carattere problematico, come è giusto che sia, quando si trattano temi fondamentali, come sesso, amore, morte. Sono temi universali, che in quest'opera 
Paolo Zardi, Maria Olmina D'Arienzo e Pietro Balzano.
Paolo Zardi, Maria Olmina D'Arienzo
e Pietro Balzano (foto: A. Fiore).
vengono affrontati per spiegare che cosa significhi essere uomini. Il dolore, che pervade tutte le vicende narrate, è in realtà una forma di difesa, qualcosa di positivo, che insegna e induce a migliorarsi. La funzione di queste storie si basa sul rapporto tra pathos e mathos, dolore e insegnamento. Qual è “il giorno che diventammo umani”? Forse quello in cui scoprimmo il senso della comunità, il legame coi nostri simili. È quando ci accorgiamo dell'esistenza degli altri e dei limiti comuni, che diventiamo umani. La parola “uomo” viene da humus (terra), che è anche l'etimo di “umiltà”. Leggendo questi racconti si avverte una tensione continua, che però conduce all'accettazione della propria condizione. Sono storie particolari, che ci fanno sentire parte di una comunità più grande. Ed è proprio ritrovandoci, riconoscendoci come simili, che possiamo salvarci. La buona letteratura ha infatti anche un valore soteriologico, e questo libro lo possiede. Si tratterebbe dunque di una specie di breviario laico, da leggere e meditare quotidianamente per gestire le proprie pulsioni intime, le proprie insicurezze. Una sorta di esame di coscienza impegna gli stessi protagonisti dei venti racconti, i quali, secondo l'interpretazione di Gemma Criscuoli, declinano il concetto di redde rationem: tutti i protagonisti si ritrovano infatti a dover fare i conti con ricordi, rimpianti, persistenze emotive. È un passaggio doloroso ma necessario, affinché anche una vita contraddittoria recuperi il suo peso. Zardi ha indagato l'aspetto straniante dell'ordinario, che in queste pagine non riesce a bastare a se stesso in quanto risente di una dissonanza sia pure confinata sullo sfondo, di un vuoto che si tenta di colmare abbandonandosi alle proprie pulsioni. Non dissimile appare la conclusione del dibattito, affidata allo stesso autore: «Ho cercato di rappresentare la tensione tra la spinta vitale, da un lato, e la presenza costante della morte e del dolore, dall'altro. In genere, nell'arco della vita non si trovano soluzioni, ma ciò non ne compromette il valore: nel bene e nel male, è pur sempre l'unica ricchezza che abbiamo.
Gemma Criscuoli e Paolo Zardi.
Gemma Criscuoli e Paolo Zardi
(foto: A. Fiore).
Nella scena finale del film The Elephant Man di David Lynch, il protagonista lancia il suo grido di dolore : «Sono un essere umano!». Questo grido di dolore è anche il filo conduttore dell'opera: è il grido disperato di chi si sente inadeguato alle proprie aspettative o a quelle altrui, e ciononostante rivendica la propria umanità, l'unico bene che si possiede veramente. L'uomo diventa tale nel momento in cui diviene cosciente dell'esistenza e della dicotomia tra bene e male. Quando i progenitori vengono cacciati dal paradiso terrestre (è il tema de “Il giardino dell'Eden”), nasce questa consapevolezza, ma nasce anche l'amore, come unica risposta alla morte.» Si lascia quindi intravedere una via d'uscita, una reazione al male di esistere fondata sulla capacità di attribuire valore alle cose, perfino a momenti apparentemente insignificanti, che può essere esemplificata dall'esito dell'ultimo racconto, un flusso di coscienza ininterrotto, che culmina nella frase finale: «Rido, perché se la vita fa schifo, stasera ha fatto un'eccezione».

venerdì 7 marzo 2014

L'eleganza discreta della tecnica

Di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 7 marzo 2014, p. 10.]
«Ricreare possibilità di trasformazione e adattamento dello spazio rimanendo, nonostante tutto, nella “normalità”» è l’obiettivo da perseguire nella progettazione dell'arredamento, in modo da valorizzare le esigenze del comfort richieste dai suoi fruitori. Se ne parlerà questa sera alle 18, presso Linee Contemporanee, in via Parmenide n°39 a Salerno, nel corso dell’evento “Tecno: L'eleganza discreta della Tecnica” una conversazione, moderata da Francesca Blasi, tra passato, presente e futuro con Giuliano Mosconi (AD Tecno Spa) e l'Arch. Raffaele D'Andria, già responsabile tecnico della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento, Caserta, attraverso la quale saranno ripercorsi i sessant'anni di storia di una delle realtà più prestigiose nel settore del design del mobile. La Tecno, che si definisce “azienda di progetto più che di prodotto”, predilige da sempre un approccio fondato sull'aspetto inventivo, che si esplicita in arredi realizzati attraverso avanzate procedure sperimentali di derivazione artigianale. Partendo da tali premesse, la sua progettualità ha raggiunto un elevato livello di affinamento, pervenendo alla definizione di prodotti che coniugano la sintesi della linea con la cura del dettaglio, la leggerezza con l'elevata resistenza; l'estetica essenziale con l'adattabilità al contesto.
Faranno da cornice al dibattito alcuni arredi originali realizzati dalla Tecno a partire dal 1953, unitamente ai recenti sistemi ufficio progettati degli architetti Norman Foster e Jean Nouvel, in un suggestivo allestimento che li porrà in dialogo con le opere del Maestro Arturo Casanova. Un accostamento non casuale, trattandosi di un artista attento a coniugare la propria libertà espressiva con la libertà interpretativa altrui, il quale «abbattendo le barriere tra le discipline, affronta ogni creazione facendo di essa la miscellanea perfetta tra pittura, scultura, video arte, installazione e perché no… design» (Luca Cantore D’Amore).

L’evento è patrocinato dall’ADI (Associazione per il Disegno Industriale, Delegazione Campania), dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Salerno e dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Salerno.

venerdì 21 febbraio 2014

Antonello De Rosa in Traccia di Mamma

Di Aristide Fiore
Locandina dello spettacolo.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 21 febbraio 2013, p. 9.]
Questa sera, a Cava de’ Tirreni, presso la sede del Social Tennis Club, avrà luogo un evento dedicato alla solidarietà, con lo spettacolo Traccia di mamma: Chi aiuta un bambino aiuta il mondo, scritto, diretto e interpretato da Antonello De Rosa e liberamente tratto da Mamma: piccole tragedie minimali di Annibale Ruccello (1956-1986). L'incasso sarà interamente devoluto all’associazione OASI – ONLUS di Nocera Inferiore, impegnata nell'assistenza e nella promozione della ricerca nel campo dell'ematologia e dell'oncologia in età pediatrica. Abbiamo chiesto all'attore-regista salernitano di parlarci dell'allestimento e dell'iniziativa a esso collegata.
Nel corso della sua carriera artistica si è già occupato di solidarietà?
«Da circa quattordici anni sono responsabile per la teatroterapia presso l'UILDM (Unione Italiana per la Lotta alla Distrofia Muscolare). Inevitabilmente ho sviluppato una forte sensibilità verso le problematiche inerenti la salute. L'incontro con l'OASI onlus è stato casuale. Ho visitato il Centro di oncoematologia pediatrica dell'ospedale Umberto I di Nocera Inferiore, con il quale l'associazione collabora, e sono rimasto profondamente colpito dalla realtà in cui operano. Mi son detto: «Davvero siamo incapaci di fare qualcosa?» e ho deciso di sposare la loro causa, mettendo a loro disposizione la mia professionalità per allestire spettacoli il cui ricavato sia interamente impiegato per le finalità dell'associazione. Ciò implica l'individuazione di spazi, risorse e figure professionali che si rendano disponibili a titolo gratuito. Sotto questo aspetto ho potuto contare sulla loro collaborazione, fondamentale per la realizzazione di questo progetto e soprattutto per assicurarne la riproposizione.»
Foto di scena.Salta all'occhio l'analogia fra la sua esperienza con i disabili e quella di Francesco Silvestri, un attore e drammaturgo la cui carriera teatrale iniziò con l'animazione in carceri e strutture dedicate ai diversamente abili, il quale tra l'altro ebbe modo di collaborare proprio con Ruccello.
«Non si tratta dell'unico tratto comune: fra me e Silvestri, al quale sono legato da grande amicizia, è avvenuto un vero e proprio passaggio di consegne, prima quando propose di affidarmi la rappresentazione di Episcopus di P. Puppa con la regia di Pasquale De Cristofaro, dopo averlo portato a un successo consolidato attraverso numerose repliche, e poi quando interpretai il ruolo principale nel suo Fratellini.»


In che modo lo spettacolo si collega alle tematiche poste in luce da questa iniziativa, dedicata ai piccoli degenti?


«Innanzitutto si tratta di uno spettacolo ben collaudato, che mi vede impegnato da circa vent'anni. Per quattro o cinque anni ho interpretato l'originale di Ruccello, inizialmente con tre attrici e in seguito da solo. “Mamma” si compone infatti di quattro monologhi, pronunciati da altrettanti personaggi: la mamma che racconta le fiabe, la mamma che impazzisce perché chiusa in un manicomio, la mamma sempre attaccata al telefono, che confonde la sua vita quotidiana con le telenovelas che vede in tv, e infine la mamma timorata di Dio, che non accetta la gravidanza della figlia ancora non sposata e in giovane età. A un certo punto ho deciso di trarne una storia incentrata su un unico personaggio, basato su quello della madre rinchiusa in manicomio e su quello della madre bigotta. Nel compiere questa operazione, ho attinto molto dalla mia esperienza di teatroterapia nei centri di igiene mentale e in altri luoghi nei quali si entra in contatto con una sofferenza che ho preferito rappresentare indirettamente, veicolandola attraverso la messa in scena. Il disagio del quale sono stato testimone deriva anche da situazioni che coinvolgono i minori. Prima di venire a contatto con la realtà nella quale opera l'Oasi, ho operato presso strutture che accolgono minori a rischio e nell'ambito di quell'esperienza mi sono imbattuto in una ragazzina scacciata dalla famiglia a causa di una gravidanza: era un caso di infanzia bruciata, una persona poco più che adolescente, resa precocemente adulta dalle terribili circostanze nelle quali si era trovata, che, forse, proprio in virtù di ciò, si sforzava di andare avanti e tenere il bambino. L'analogia col dramma del personaggio che interpreto è evidente. Sullo sfondo si intravede quello stesso velo di ipocrisia che riesce persino a offuscare la sfera affettiva. Nella realtà, come nella finzione, si ha a che fare con una manifesta incapacità di essere madre, che si ripercuote sulla figlia. Nello spettacolo, il delirio della madre folle e bigotta si spinge fino alla blasfemia, all'identificazione con la Madonna, della quale crede di essere la reincarnazione. Dialogando con la statua della Vergine, la madre per eccellenza, le affida l'anima perduta della figlia, nella consapevolezza di non essere riuscita a salvarla, avendone anzi determinato il suicidio.»

Traccia di Mamma è dunque un titolo doppiamente evocativo.

«Direi di sì, sia in quanto riferito al materiale di partenza sia quale sintesi di personaggi e situazioni comuni e tuttavia emblematici. La funzione del teatro è infatti non quella educativa, ma piuttosto quella rieducativa: deve mirare al recupero dei valori.»
Foto di scena.

Interpretare personaggi femminili richiede abilità non comuni, a meno che non lo si intenda, riduttivamente, come recitazione en travesti. Qual è il fascino di questa sfida?

«Come mi disse una volta Francesco Silvestri, per interpretare un personaggio femminile non basta “fare la donna”: bisogna “esserlo”. La figura dell'attore ha infatti una connotazione dionisiaca. L'attore è come gli angeli, è asessuato, e in quanto tale è in grado di trascendere la propria natura. I personaggi femminili sono resi interessanti dalla loro psicologia, più complessa di quella maschile. Inoltre mi affascina la comunanza fra la donna e la figura dell'attore, entrambe capaci, ciascuna a suo modo, di generare, di dar vita a altri esseri umani o a personaggi.»

sabato 1 febbraio 2014

Un muro d'amore contro l'odio

Di Aristide Fiore
La "scala della morte" a Mauthausen.
La "scala della morte" a Mauthausen.
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 30 gennaio 2014, p. 16.]
Nell'ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, sabato scorso si è tenuto a Salerno, nell'ex chiesa di Santa Apollonia, un incontro organizzato dall'Associazione Studio Apollonia, in collaborazione con ANED IT, Associazione Daltrocanto, Bottega San Lazzaro, Museo dello Sbarco e Salerno Capitale, Fornace Falcone, Senza Periferie e Arcigay Salerno. La manifestazione era articolata in tre momenti: “Oltre il Silenzio”, un contenitore di riflessioni, intervallate con musica e canti della Compagnia Daltrocanto. Ha suscitato viva emozione l'intervento di Ernesto Scelza, che, accompagnato alla chitarra da Antonio Giordano della Compagnia Daltrocanto, ha letto una sua composizione intitolata Il secolo guasto / Un canto sommesso”, scritta per l'occasione. La presentazione del volume di Grazia Di Veroli La scala della Morte. Mario Limetani da Venezia a Roma, via Mauthausen è stato l'evento centrale della serata; alcuni brani dell'opera sono stati letti da Pasquale De Cristofaro. Il programma si è concluso con un’azione performativa che ha coinvolto tutti i presenti, i quali sono stati invitati a abbattere, un mattone dopo l'altro, un simbolico “muro della vergogna”, al quale si contrapponeva un candido “muro d'amore”, sul quale una allieva della Scuola Elementare “Arbostella” ha scritto parole di speranza.
Pubblicato da Marlin Editore in concomitanza col 70° anniversario della deportazione romana del 4 gennaio, il volume di Grazia Di Veroli narra la storia di Mario Limentani, nato nel 1923 a Venezia e trasferitosi con la famiglia a Roma, deportato a Mauthausen nel dicembre del 1943, in seguito a un rastrellamento, essendo stato riconosciuto come ebreo. Il protagonista di quest'opera si trova di colpo dalla parte delle vittime, prima perché colpito dalle leggi razziali e poi a causa della deportazione, fino aapprodare nella dimensione disumana e spersonalizzante del lager, che per moltissimi fu l'anticamera della morte. Secondo l'autrice, l'oltraggio delle tre teste di maiale, che ha colpito la comunità ebraica di Roma rende molto più pesante il clima di queste celebrazioni per la Giornata della memoria. Il libro su Mario Limentani si deve all'impegno del protagonista a trasmettere la propria esperienza alle nuove generazioni, proprio allo scopo di evitare certe pericolose ricadute. Nel suo racconto sono esposte le dolorose vicende che caratterizzarono circa un anno e mezzo di prigionia, senza tuttavia ricorrere mai a espressioni di rancore né indugiare in dettagli particolarmente crudi. Scorre così, mediato da un romanesco semplice e diretto, il racconto di fatti che, riconsiderati nella loro intera portata, rasentano l'indicibile: le percosse, l’espropriazione di tutti i beni, la moltitudine delle lingue parlate nel campo, la fame e, soprattutto, il ricordo indelebile del lavoro forzato nella cava, con la famigerata “scala della morte”: 186 gradini ripidi e scivolosi da salire e scendere continuamente per almeno dodici ore al giorno, con un masso di granito sulle spalle; una pena da poema dantesco, resa concreta dalla ferocia sadica delle SS. Molti internati perdevano la vita in quel luogo, per sfinimento o precipitando nel burrone sottostante. A tali orrori fa da contraltare l'invito alla speranza che traspare dall'epilogo di questa storia, col ritorno alla normalità e la formazione di una nuova famiglia. Secondo Alfonso Conte, la validità delle testimonianze di quegli avvenimenti è incontrovertibile, dunque non è necessario perdere tempo a contestare le tesi negazioniste, ormai palesemente infondate. Va piuttosto coltivata, attraverso la valorizzazione di questo patrimonio, l'attenzione per gli ultimi, la capacità di soffermarsi anche sugli aspetti più semplici della quotidianità. In poche parole, bisogna evitare che le necessità e le angosce ignorate, come è già successo, determinino nella società la predisposizione a cercare pericolose scappatoie nell'individuazione di capri espiatori e nell'instaurazione di regimi liberticidi.
Il "Muro d'amore".
Il "Muro d'amore" (foto: A. Fiore).

sabato 18 gennaio 2014

L'opera da tre soldi. Intervista a Franco Alfano

Di Aristide Fiore
Franco Alfano.
Franco Alfano
(foto : A. Fiore).
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 14 gennaio 2014, p. 17.]
Stasera al Teatro municipale Giuseppe Verdi di Salerno andrà in scena L'opera da tre soldi di Bertold Brecht, con le musiche di Kurt Weill. L'allestimento è nato da un'idea di Elena Scardino e Franco Alfano, al quale abbiamo chiesto di illustrarci i dettagli del progetto.
Questo allestimento dell'Opera da tre soldi è il punto d'arrivo del laboratorio Il teatro degli attori, organizzato dall'associazione Mumble Rumble. Con quali finalità?
Si tratta di un progetto realizzato dall'Arci Mumble Rumble Teatro Comico Salernitano, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Salerno, con l'obiettivo di coinvolgere attori già noti ed esordienti in un'esperienza comune, in modo da valorizzare le potenzialità artistiche della comunità cittadina e favorire la scoperta di nuovi talenti. Da questo punto di vista, anche la rassegna presentata la scorsa estate al teatro Ghirelli, che ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica, ha dato buoni frutti,in quanto ha permesso di selezionare alcuni giovani promettenti. La proposizione dell'Opera da tre soldi costituisce una fase ulteriore del cammino intrapreso, che si rende necessaria, visti i risultati precedenti e tenendo presente che l'utilizzo del Massimo cittadino per iniziative di questo genere risale ormai a una ventina d'anni fa.
Locandina.
La locandina dello
spettacolo, disegnata
da Bruno Brindisi.
Quali motivazioni hanno determinato la scelta di Brecht?
Indubbiamente le tematiche trattate da Brecht, e in particolare quelle dell'opera che ci accingiamo a rappresentare, risultano ancora attuali. L'impressionante analogia tra criminalità e mondo della finanza è sotto gli occhi di tutti, così come la diffusa ipocrisia che pervade la società contemporanea. Si potrebbe dire che i mali denunciati dal Nostro autore, non solo sussistono, ma si sono addirittura accentuati.
Rappresentare Brecht comporta l'adesione al concetto di “teatro epico”, basato sull'effetto di straniamento, che permette allo spettatore di non immedesimarsi nei personaggi e di evitare di sentirsi coinvolto nella vicenda, in modo da favorirne l'atteggiamento critico nei confronti dei temi trattati. La scelta di innovare l'apparato didattico predisposto dal drammaturgo tedesco (i famosi cartelli che commentavano l'azione) è dettata dal semplice intento di introdurre delle novità o è finalizzata a potenziarne l'efficacia?
Abbiamo deciso di veicolare il messaggio brechtiano servendoci di alcuni linguaggi propri dei media contemporanei, come il fumetto (i disegni di Bruno Brindisi) e la grafica (le “visioni di sabbia” di Licio Esposito), così come i riferimenti al cinema di Tarantino, allo scopo di rendere quest'opera più attraente e interessante. Sotto questo aspetto, riteniamo di aver rispettato, se non la lettera del testo, le reali intenzioni dell'autore. Naturalmente abbiamo operato anche dei tagli per rendere la rappresentazione più recepibile. D'altronde al giorno d'oggi si ricorre spesso a questo accorgimento, anche quando si rappresenta Shakespeare.
Al di là delle analogie tematiche e stilistiche fra il Cinema di Tarantino e il teatro brechtiano e dell'esigenza di proporre un classico del teatro novecentesco con un taglio contemporaneo, ritiene che tale scelta sia anche funzionale all'effetto di straniamento?

Certamente. Nel cinema di Tarantino, per certi versi simile al teatro brechtiano nell'ambientazione e nei repentini cambi di registro, da quello drammatico a quello comico, si respira un'atmosfera indefinita, almeno dal punto di vista temporale. Anche il modo in cui agiscono i personaggi sembra a volte poco aderente alla realtà. In definitiva, l'accostamento con Tarantino completa efficacemente l'insieme degli accorgimenti che intendiamo porre in atto per avvicinare i giovani al teatro e al mondo della cultura, in quanto corrisponde ai loro canoni estetici abituali.


Le visioni di sabbia di Licio Esposito in un recente spettacolo con Ciro Girardi.

Sul Flauto magico il sigillo di Pap Eri Samb

Di Aristide Fiore
Tamino.
Tamino (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 12 gennaio 2014, p. 11.]
L’Orchestra di Piazza Vittorio, un encomiabile esempio d’integrazione culturale attraverso la musica, mette in scena al Massimo cittadino Il Flauto magico, ispirato all'opera omonima di W.A. Mozart: uno spettacolo completo che, confermando le attese, ha incontrato il favore del pubblico.
La rielaborazione musicale di Mario Tronco e Leandro Piccioni si spinge fino a costituire un caleidoscopio sonoro, che rispecchia, anche nella strumentazione, la varietà del retroterra culturale 
Papageno.
Papageno (foto: A. Fiore).
dei musicisti, i quali, come è noto, provengono da diversi paesi, così come diverse sono anche le lingue tramite le quali è raccontata questa favola musicale: al testo declamato in italiano da un vivace e spiritoso narratore, al quale sono affidate l'illustrazione della trama e il raccordo fra le scene, si alternano le parti cantate in arabo, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese ecc.
Lungi dal risultare frammentaria e incomprensibile, la versione dell'ensemble "romana", sviluppata a partire da un'intuizione di Daniele Abbado, celebra la bellezza e la ricchezza dell'odierna società multietnica, capace di amalgamare molteplici riletture di un classico e infondergli nuova linfa.

La regina della notte.
La regina della notte (foto: A. Fiore).
Il dubbio che si tratti di una semplice esecuzione dell'opera in forma di concerto è presto fugato dalle scenografie e dai ruoli degli stessi esecutori. Le proiezioni, coordinate su tre schermi, che combinano gli acquerelli e le animazioni di Lino Fiorito, trasportano immediatamente gli spettatori in una dimensione fiabesca e li conducono in luoghi immaginari, versione universale, più ancora che cosmopolita, dell'Egitto fantastico tratteggiato nel testo musicato da Mozart. Infine sono gli stessi musicisti che, semplicemente indossando i costumi di Ortensia De Francesco, danno vita ai personaggi, anch'essi trasformati, come l'inedito Tamino di Ernesto Lopez Maturell, virtuoso del fischio, e l'esilarante Papageno di Pap Eri Samb, che conquista subito la simpatia del pubblico ponendo in atto uno spiritoso espediente sonoro che cita lo spartito mozartiano. 
Pamina.
Pamina (foto: A. Fiore).
Felice, da questo punto di vista, anche l'interpretazione di Sarastro, un solenne Carlos Paz, che nella figura e nel portamento riesce a esprimere al tempo stesso sacralità e eleganza, miste a un'inquietante aria stregonesca. Si tratta tuttavia del Sarastro che impone le tre prove iniziatiche, lontano dall'atmosfera della scena precedente, nella quale si riassume il suo intervento risolutivo attraverso una divertente sequenza di diapositive, che ricordano i vecchi fotoromanzi. Si innesta così un meccanismo dissacratorio, che porta la Regina della notte, interpretata da Petra Magoni, dall'aura misteriosa e potente della prima parte al duetto finale con Sarastro, che sembra ambientato in un locale notturno cubano.
Sarastro.
Sarastro (foto: A. Fiore).
Anche l'epilogo della vicenda segue lo stesso schema, come mostra la sorprendente confusione di ruoli fra Papageno e Tamino, il quale finisce per concludere il celebre duetto con Papagena, letteralmente fusa con Pamina (Sylvie Lewis), davanti a un perplesso Papageno. Un colpo di scena che sembra voler affrancare la storia dall'originaria dimensione mistica, collocandola nella sfera concreta di un romanzo di formazione.

sabato 11 gennaio 2014

Il ghigno di Bertold Brecht: ecco L'Opera da tre soldi

Di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 10 gennaio 2014, p. 9.]
«Che cos'è un grimaldello di fronte a un titolo azionario? Che cos'è l'effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una banca? Che cos'è l'omicidio di fronte a una vita da salariato?». La famosa battuta che Bertold Brecht fa pronunciare al bandito Macheath (Mackie Messer), nell'Opera da tre soldi è una sintesi efficace di una rappresentazione che pone in stretta relazione lo spietato mondo della malavita e il non meno spietato mondo degli affari. Il capolavoro brechtiano musicato da Kurt Weill, che sarà messo in scena il 14 gennaio al Teatro “Giuseppe Verdi” di Salerno, nell'allestimento curato dalla compagnia "Il teatro degli attori", è stato presentato presso il Palazzo di Città, con una conferenza stampa alla quale ha partecipato, insieme a organizzatori e interpreti, l'Assessore comunale alla Cultura Ermanno Guerra.
Secondo Franco Alfano, che ha curato la regia, la scelta di mettere in scena questo lavoro non è stata certo casuale, visti i temi decisamente attuali: l’immoralità, l’ipocrisia e la spregiudicatezza degli uomini in una società violenta, nella quale la lotta per la sopravvivenza è all’ordine del giorno. Nell'intento di proporre una lettura attuale dell'opera, è stato individuato un parallelo tra il teatro di Brecht e il cinema di Tarantino, accomunati dall'ambientazione (il mondo della malvita e, più in generale, i personaggi socialmente emarginati e privi di scrupoli, come i malviventi, le donne di malaffare, ma anche i poliziotti e gli uomini di potere corrotti) e dai rapidi passaggi dal registro tragico a quello comico. L'attualizzazione dell'allestimento ha riguardato anche alcuni aspetti paratestuali: i cartelli che Brecht faceva passare sul proscenio saranno sostituiti da performances artistiche: le “visioni di sabbia” di Licio Esposito. Secondo Ciro Gilardi, che si appresta a un doppio debutto, sulle tavole del Massimo cittadino e col teatro brechtiano, nel ruolo del protagonista, «sposare Brecht e Tarantino vuol dire anche modernizzare il linguaggio».
Tra gli altri interpreti principali, Ascanio Ferrara vestirà i panni di Jonathan Jeremiah Peachum, mentre il ruolo di Celia Peachum – La moglie di Peachum, che l'aiuta negli affari – è affidato a Carla Avarista e quello di Polly Peachum a Meri Cannaviello. Roberto Lombardi interpreterà Jackie "Tiger" Brown, capo della polizia di Londra e miglior amico di Mackie dai tempi dell'esercito, la cui figlia, Lucy Brown, che afferma di essere sposata a Mackheath, sarà impersonata da Adriana Fiorillo. Infine Cristina Recupito sarà Jenny Diver, una prostituta che ha avuto una relazione con Mackie, ma a causa di un inganno finisce per tradirlo, e Igor Canto interpreterà Mattia della Zecca.

Gli attori sono stati seguiti dalla vocal trainer Silvana Noschese. Nello spettacolo si alternano infatti momenti di prosa a momenti musicali e cantati. La musica di Kurt Weill, che in quest'occasione sarà eseguita dal vivo con la direzione del maestro Roberto Marino, al quale si devono anche la concertazione e gli arrangiamenti, si ispira al cabaret e al jazz e ha contribuito sensibilmente al successo e alla fama dell'opera brechtiana. Ermanno Guerra ha dichiarato di aspettarsi molto da questa operazione, la quale ben rappresenta la vivacità culturale che caratterizza la nostra città in questo momento storico, e ha lodato anche l'intento, perfettamente riuscito, di aggregare molte delle professionalità presenti nel contesto cittadino. Per la prevendita biglietti ci si potrà rivolgere al botteghino del Teatro oppure alla sede dell'associazione Mumble Rumble, in Via Vincenzo Loria n° 35.

domenica 5 gennaio 2014

Per un nuovo anno fatto della materia dei Sogni

Di Aristide Fiore
Esibizione del gruppo Daltrocanto.
Esibizione del gruppo Daltrocanto.
(Foto: A. Fiore)
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 3 gennaio 2014, p. 9.]
In attesa del nuovo anno alcuni protagonisti del panorama culturale della nostra città si sono dati appuntamento nella piccola chiesa di Santa Apollonia, risalente al XVI-XVII secolo, per rinnovare idealmente l'antica cerimonia dell’auspicio, con la quale nel mondo etrusco e poi romano si cercava di conoscere la volontà degli dèi mediante l'interpretazione di fenomeni naturali o l'esame delle interiora degli animali sacrificati. Richiamando anche nella loro struttura essenziale lo schema tipico della scienza divinatoria, gli interventi che si sono succeduti lo scorso 31 dicembre, intervallati dalle esibizioni del gruppo musicale Daltrocanto, partivano dall'analisi di un aspetto della realtà contemporanea e si concludevano con un augurio che fornisse al tempo stesso uno spunto per superare i problemi così individuati, secondo un rito collettivo finalizzato a superare l'individualità e fare comunità, in uno spazio solitamente dedicato all'arte, alla musica e al teatro, nel quale a ciascuno è stata concessa ampia libertà nella scelta del linguaggio: recitazione, racconto, canto, musica, declamazione di versi ecc., tutti i mezzi disponibili attraverso i quali gettare un seme per «coltivare simbolicamente il terreno della speranza».
Con l'invito di Mons. Claudio Raimondo, priore della parrocchia di Santa Trofimena nell'Annunziata, al riconoscimento dell'altro e alla vicendevole infusione della speranza e gli ispirati versi declamati da Ernesto Scelza con accompagnamento musicale, si è dato inizio alla manifestazione. Coordinati da Erminia Pellecchia, gli “aruspici” si sono esercitati nella difficile arte di trovare il futuro attraverso il presente, secondo l'esempio di Pasolini citato da Andrea Manzi. La rievocazione dell'ennesimo suicidio di un disoccupato si è dunque trasformata, nelle parole di Luigi Ciancio, in racconto augurale che riafferma il diritto a vivere e a tenere in vita il diritto al di sopra del puro interesse. L'antropologo Paolo Apolito ha auspicato innanzitutto che l'iniziativa in questione non costituisca un caso isolato, ma che diventi un appuntamento abituale e foriero di nuovi spunti. Ha poi dichiarato che è giunto il momento di ritrovare una capacità acritica di dialogo, cioè la sospensione del giudizio a favore dell'ascolto, per tradurre visioni e pensieri dalla dimensione interiore a quella esteriore, focalizzandosi sulla bellezza e l'importanza della relazione, che lo studioso ha felicemente paragonato a un «passo di danza collettivo», piuttosto che soffermarsi sulle inevitabili, a volte inconciliabili, differenze di idee e concezioni del mondo. Si rende necessaria, a tal proposito, secondo il critico teatrale Franco Tozza, la mediazione tra l'etica e l'estetica della compiacenza, molto in voga al giorno d'oggi, e l'apporto dissonante ma costruttivo dell'assertività. La storica dell'arte Paola Capone ha sottolineato invece l'importanza del superamento del concetto di tolleranza, limitato in quanto presuppone la subordinazione a modelli prestabiliti, finalizzato alla valorizzazione della dimensione della multiculturalità, che si fonda su un'apertura che consente un arricchimento reciproco.

Dopo un divertente intermezzo satirico offerto da Pasquale De Cristofaro, che ha presentato due testi scritti in collaborazione con Rino Mele, e il saluto di Valerio Falcone, in rappresentanza della Fornace Falcone, da sempre impegnata al sostegno e alla promozione dei talenti artistici offerti dal nostro territorio, la meditazione sulla bellezza e la forza della relazione è proseguita con la testimonianza dell'Avv. Guglielmo Sgarlato, incentrato sulla tenerezza e basato su esperienze personali nella sfera degli affetti famigliari e nella cerchia delle amicizie: «vagoni di umanità» carichi di tenerezza dimostrata non solo attraverso i gesti, ma anche nel più completo dono di sé. Certamente ha fatto dono di sé Nello Tornitore, dedicandosi alla crescita dei giovani attraverso l'associazione DivertiVento, da anni impegnata nella diffusione della cultura marinara e nella promozione della solidarietà. Il suo augurio per Salerno è che «diventi sempre più una città di mare, piuttosto che una città sul mare», ovvero che si riesca a recuperare un rapporto vivo, ricco di implicazioni positive, con un elemento che non può esser visto solo nella sua dimensione geografica, come separatore di territori.