Di Aristide
Fiore
Tamino (foto: A. Fiore). |
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 12 gennaio
2014, p. 11.]
L’Orchestra di Piazza Vittorio, un encomiabile esempio
d’integrazione culturale attraverso la musica, mette in scena al
Massimo cittadino Il Flauto magico, ispirato
all'opera omonima di W.A. Mozart: uno spettacolo completo che,
confermando le attese, ha incontrato il favore del pubblico.
La
rielaborazione musicale di Mario Tronco e Leandro Piccioni si spinge
fino a costituire un caleidoscopio sonoro, che rispecchia, anche
nella strumentazione, la varietà del retroterra culturale
Papageno (foto: A. Fiore). |
dei
musicisti, i quali, come è noto, provengono da diversi paesi, così
come diverse sono anche le lingue tramite le quali è raccontata
questa favola musicale: al testo declamato in italiano da un vivace e
spiritoso narratore, al quale sono affidate l'illustrazione della
trama e il raccordo fra le scene, si alternano le parti cantate in
arabo, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese ecc.
Lungi
dal risultare frammentaria e incomprensibile, la versione
dell'ensemble "romana", sviluppata a partire da un'intuizione di Daniele
Abbado, celebra la bellezza e la ricchezza dell'odierna società
multietnica, capace di amalgamare molteplici riletture di un classico
e infondergli nuova linfa.
La regina della notte (foto: A. Fiore). |
Il dubbio che si tratti di una semplice esecuzione dell'opera in
forma di concerto è presto fugato dalle scenografie e dai ruoli
degli stessi esecutori. Le proiezioni, coordinate su tre schermi, che
combinano gli acquerelli e le animazioni di
Lino Fiorito, trasportano immediatamente gli spettatori in una
dimensione fiabesca e li conducono in luoghi immaginari, versione
universale, più ancora che cosmopolita, dell'Egitto fantastico
tratteggiato nel testo musicato da Mozart. Infine sono gli stessi
musicisti che, semplicemente indossando i costumi di Ortensia De
Francesco, danno vita ai personaggi, anch'essi trasformati, come
l'inedito Tamino di Ernesto Lopez Maturell, virtuoso del fischio, e
l'esilarante Papageno di Pap Eri Samb, che conquista subito la
simpatia del pubblico ponendo in atto uno spiritoso espediente sonoro
che cita lo spartito mozartiano.
Pamina (foto: A. Fiore). |
Felice, da questo punto di vista,
anche l'interpretazione di Sarastro, un solenne Carlos Paz, che nella
figura e nel portamento riesce a esprimere al tempo stesso sacralità
e eleganza, miste a un'inquietante aria stregonesca. Si tratta
tuttavia del Sarastro che impone le tre prove iniziatiche, lontano
dall'atmosfera della scena precedente, nella quale si riassume il suo
intervento risolutivo attraverso una divertente sequenza di
diapositive, che ricordano i vecchi fotoromanzi. Si innesta così un
meccanismo dissacratorio, che porta la Regina della notte,
interpretata da Petra Magoni, dall'aura misteriosa e potente della
prima parte al duetto finale con Sarastro, che sembra ambientato in
un locale notturno cubano.
Anche l'epilogo della vicenda segue lo
stesso schema, come mostra la sorprendente confusione di ruoli fra
Papageno e Tamino, il quale finisce per concludere il celebre duetto
con Papagena, letteralmente fusa con Pamina (Sylvie Lewis), davanti a
un perplesso Papageno. Un colpo di scena che sembra voler affrancare
la storia dall'originaria dimensione mistica, collocandola nella
sfera concreta di un romanzo di formazione.
Sarastro (foto: A. Fiore). |
Nessun commento:
Posta un commento