Di
Aristide Fiore
Esibizione del gruppo Daltrocanto. (Foto: A. Fiore) |
In
attesa del nuovo anno alcuni protagonisti del panorama culturale
della nostra città si sono dati appuntamento nella piccola chiesa di
Santa Apollonia, risalente al XVI-XVII secolo, per rinnovare
idealmente l'antica cerimonia dell’auspicio, con la quale nel mondo
etrusco e poi romano si cercava di conoscere la volontà degli dèi
mediante l'interpretazione di fenomeni naturali o l'esame delle
interiora degli animali sacrificati. Richiamando anche nella loro
struttura essenziale lo schema tipico della scienza divinatoria, gli
interventi che si sono succeduti lo scorso 31 dicembre, intervallati
dalle esibizioni del gruppo musicale Daltrocanto, partivano
dall'analisi di un aspetto della realtà contemporanea e si
concludevano con un augurio che fornisse al tempo stesso uno spunto
per superare i problemi così individuati, secondo un rito collettivo
finalizzato a superare l'individualità e fare comunità, in uno
spazio solitamente dedicato all'arte, alla musica e al teatro, nel
quale a ciascuno è stata concessa ampia libertà nella scelta del
linguaggio: recitazione, racconto, canto, musica, declamazione di
versi ecc., tutti i mezzi disponibili attraverso i quali gettare un
seme per «coltivare
simbolicamente il terreno della speranza».
Con
l'invito di Mons. Claudio Raimondo, priore della parrocchia di Santa
Trofimena nell'Annunziata, al riconoscimento dell'altro e alla
vicendevole infusione della speranza e gli ispirati
versi
declamati da Ernesto Scelza con accompagnamento musicale, si
è dato inizio alla manifestazione. Coordinati da Erminia Pellecchia,
gli “aruspici” si sono esercitati nella difficile arte di trovare
il futuro attraverso il presente, secondo l'esempio di Pasolini
citato da Andrea Manzi. La rievocazione dell'ennesimo suicidio di un
disoccupato si è dunque trasformata, nelle parole di Luigi Ciancio,
in racconto augurale che riafferma il diritto a vivere e a tenere in
vita il diritto al di sopra del puro interesse. L'antropologo Paolo
Apolito ha auspicato innanzitutto che l'iniziativa in questione non
costituisca un caso isolato, ma che diventi un appuntamento abituale
e foriero di nuovi spunti. Ha poi dichiarato che è giunto il momento
di ritrovare una capacità acritica di dialogo, cioè la sospensione
del giudizio a favore dell'ascolto, per tradurre visioni e pensieri
dalla dimensione interiore a quella esteriore, focalizzandosi sulla
bellezza e l'importanza della relazione, che lo studioso ha
felicemente paragonato a un «passo
di danza collettivo»,
piuttosto che soffermarsi sulle inevitabili, a volte inconciliabili,
differenze di idee e concezioni del mondo. Si rende necessaria, a tal
proposito, secondo il critico teatrale Franco Tozza, la mediazione
tra l'etica e l'estetica della compiacenza, molto in voga al giorno
d'oggi, e l'apporto dissonante ma costruttivo dell'assertività. La
storica dell'arte Paola Capone ha sottolineato invece l'importanza
del superamento del concetto di tolleranza, limitato in quanto
presuppone la subordinazione a modelli prestabiliti, finalizzato alla
valorizzazione della dimensione della multiculturalità, che si fonda
su un'apertura che consente un arricchimento reciproco.
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