sabato 15 marzo 2014

L'effetto presenza di Beppe Fiorello

Di Aristide Fiore
Primo piano di Beppe Fiorello.
[Pubblicato su Le Cronache del Salernitano, 15 marzo 2014, p. 12]
Calorosi applausi hanno salutato l'approdo di Penso che un sogno così... al massimo cittadino. In questo spettacolo, scritto da Beppe Fiorello e Vittorio Moroni, e diretto da Giampiero Solari, si ribalta il punto di vista della fiction “Volare”, uno dei successi televisivi dell'attore catanese: la carriera di Domenico Modugno (Mimì) viene ripercorsa stabilendo un parallelo tra la storia del cantautore salentino e quella di un operaio ferroviario catanese, «un ragazzo con due baffi da moschettiere e gli occhi pieni di speranza», a lui straordinariamente somigliante e come lui dotato di talento canoro: il padre di Beppe, che rievoca entrambe le vicende attraverso i suoi ricordi d'infanzia. I vari episodi di vita familiare, alternati con le contemporanee vicissitudini di Modugno, sono scanditi da alcune delle sue canzoni più famose, interpretate da Fiorello con uno stile “più vero del vero”, molto al di là di una semplice imitazione, e quasi tutte accompagnate dal vivo da Daniele Bonaviri, Fabrizio Palma e dall'attore stesso, nell'insolita veste di percussionista. Si parte con le canzoni dialettali, quelle degli esordi, che rivelarono la novità di un repertorio che, attraverso figure di animali e lavoratori, si faceva interprete della realtà preindustriale, destinata, nei decenni successivi, a essere a poco a poco trasformata dal decollo dell'economia. Alcune di esse sembravano fatte apposta per descrivere le situazioni vissute dalla famiglia Fiorello: dai lunghi viaggi in auto, che in realtà coprivano poche decine di chilometri, alle riunioni famigliari, accompagnate da interminabili mangiate condite coi racconti dei commensali, alle feste patronali, monopolizzate da un notabile che aveva fatto fortuna in America, ai personaggi curiosi, sul conto dei quali circolavano strane dicerie. E fu proprio grazie a uno di loro, un presunto lupo mannaro soprannominato “'o lupinaro”, in realtà un innocuo signore basso e grassoccio, timoroso della propria moglie, che il piccolo Beppe entrò in contatto con le canzoni di Modugno. In cambio di un po' d'aiuto, fornito con riluttanza dal bambino intimorito, l'ometto gli regalò la prima cosa che gli capitò sotto mano: un logoro disco a quarantacinque giri con “Nel blu dipinto di blu”, la canzone giusta al momento giusto, per un popolo che si accingeva a spiegare le ali e lanciarsi verso il boom economico. Dai ripetuti ascolti, attraverso i dischi, la radio, la televisione e le interpretazioni di quel padre così somigliante al grande Mimmo, nacque il sogno che ha portato un bimbo incompreso, preso in giro da tutti per la sua riservatezza, a impersonare il cantautore prima in televisione e poi in teatro, fino a raggiungere un “effetto presenza” che ha davvero emozionato il pubblico, come dimostrato dai frequenti applausi “a scena aperta”.

lunedì 10 marzo 2014

La narrazione avvolgente di Paolo Zardi

Di Aristide Fiore
Copertina di "Il giorno che diventammo umani".
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 10 marzo 2014, p. 12]
Al settimo appuntamento della rassegna La versione di Marte. Libri, incontri d'autore, narrazioni, coordinata e curata da Davide Speranza da un concept di Alfonso Amendola, venerdì scorso è stata la volta del volume Il giorno che diventammo umani, di Paolo Zardi (Neo Edizioni). Sono intervenuti con l'autore, presso la Mediateca MARTE di Cava de' Tirreni, Maria Olmina D'Arienzo (dirigente del Liceo Scientifico “A. Genoino” di Cava de' Tirreni), Gemma Criscuoli (pubblicista), Pietro Balzano (lettore MARTE) e l'attore Niccolò Farina, che ha letto alcuni racconti.

Per Pietro Balzano, leggere questi racconti è stato davvero come ricevere un pugno nello stomaco, già a partire dal primo, “Domenica pomeriggio” con il quale Zardi manifesta fin dall'inizio la crudezza di linguaggio e immagini che ricorre nel volume, lasciando il lettore senza fiato e catturandolo con una narrazione coinvolgente. Un libro insolito e dirompente, dunque, che in definitiva, nonostante l'atmosfera cupa che lo pervade, si potrebbe considerare un libro d'amore. Il carattere non comune dell'opera è uno dei suoi punti di forza anche secondo la professoressa D'Arienzo, che ne ha lodato la perfezione linguistica e lo stile diretto, privo di orpelli, ma al tempo stesso curatissimo. Si nota particolarmente l'accuratezza degli accorgimenti formali: sintesi, essenzialità, realismo, mimesi linguistica: Zardi si mette davvero nei panni dei protagonisti, per condurre il lettore attraverso una discesa negli inferi che a ben vedere è la premessa di una risalita. Alcune storie terminano con un elemento inatteso: è lo stesso schema delle barzellette, qui adottato per conferire loro un carattere problematico, come è giusto che sia, quando si trattano temi fondamentali, come sesso, amore, morte. Sono temi universali, che in quest'opera 
Paolo Zardi, Maria Olmina D'Arienzo e Pietro Balzano.
Paolo Zardi, Maria Olmina D'Arienzo
e Pietro Balzano (foto: A. Fiore).
vengono affrontati per spiegare che cosa significhi essere uomini. Il dolore, che pervade tutte le vicende narrate, è in realtà una forma di difesa, qualcosa di positivo, che insegna e induce a migliorarsi. La funzione di queste storie si basa sul rapporto tra pathos e mathos, dolore e insegnamento. Qual è “il giorno che diventammo umani”? Forse quello in cui scoprimmo il senso della comunità, il legame coi nostri simili. È quando ci accorgiamo dell'esistenza degli altri e dei limiti comuni, che diventiamo umani. La parola “uomo” viene da humus (terra), che è anche l'etimo di “umiltà”. Leggendo questi racconti si avverte una tensione continua, che però conduce all'accettazione della propria condizione. Sono storie particolari, che ci fanno sentire parte di una comunità più grande. Ed è proprio ritrovandoci, riconoscendoci come simili, che possiamo salvarci. La buona letteratura ha infatti anche un valore soteriologico, e questo libro lo possiede. Si tratterebbe dunque di una specie di breviario laico, da leggere e meditare quotidianamente per gestire le proprie pulsioni intime, le proprie insicurezze. Una sorta di esame di coscienza impegna gli stessi protagonisti dei venti racconti, i quali, secondo l'interpretazione di Gemma Criscuoli, declinano il concetto di redde rationem: tutti i protagonisti si ritrovano infatti a dover fare i conti con ricordi, rimpianti, persistenze emotive. È un passaggio doloroso ma necessario, affinché anche una vita contraddittoria recuperi il suo peso. Zardi ha indagato l'aspetto straniante dell'ordinario, che in queste pagine non riesce a bastare a se stesso in quanto risente di una dissonanza sia pure confinata sullo sfondo, di un vuoto che si tenta di colmare abbandonandosi alle proprie pulsioni. Non dissimile appare la conclusione del dibattito, affidata allo stesso autore: «Ho cercato di rappresentare la tensione tra la spinta vitale, da un lato, e la presenza costante della morte e del dolore, dall'altro. In genere, nell'arco della vita non si trovano soluzioni, ma ciò non ne compromette il valore: nel bene e nel male, è pur sempre l'unica ricchezza che abbiamo.
Gemma Criscuoli e Paolo Zardi.
Gemma Criscuoli e Paolo Zardi
(foto: A. Fiore).
Nella scena finale del film The Elephant Man di David Lynch, il protagonista lancia il suo grido di dolore : «Sono un essere umano!». Questo grido di dolore è anche il filo conduttore dell'opera: è il grido disperato di chi si sente inadeguato alle proprie aspettative o a quelle altrui, e ciononostante rivendica la propria umanità, l'unico bene che si possiede veramente. L'uomo diventa tale nel momento in cui diviene cosciente dell'esistenza e della dicotomia tra bene e male. Quando i progenitori vengono cacciati dal paradiso terrestre (è il tema de “Il giardino dell'Eden”), nasce questa consapevolezza, ma nasce anche l'amore, come unica risposta alla morte.» Si lascia quindi intravedere una via d'uscita, una reazione al male di esistere fondata sulla capacità di attribuire valore alle cose, perfino a momenti apparentemente insignificanti, che può essere esemplificata dall'esito dell'ultimo racconto, un flusso di coscienza ininterrotto, che culmina nella frase finale: «Rido, perché se la vita fa schifo, stasera ha fatto un'eccezione».

venerdì 7 marzo 2014

L'eleganza discreta della tecnica

Di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, 7 marzo 2014, p. 10.]
«Ricreare possibilità di trasformazione e adattamento dello spazio rimanendo, nonostante tutto, nella “normalità”» è l’obiettivo da perseguire nella progettazione dell'arredamento, in modo da valorizzare le esigenze del comfort richieste dai suoi fruitori. Se ne parlerà questa sera alle 18, presso Linee Contemporanee, in via Parmenide n°39 a Salerno, nel corso dell’evento “Tecno: L'eleganza discreta della Tecnica” una conversazione, moderata da Francesca Blasi, tra passato, presente e futuro con Giuliano Mosconi (AD Tecno Spa) e l'Arch. Raffaele D'Andria, già responsabile tecnico della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento, Caserta, attraverso la quale saranno ripercorsi i sessant'anni di storia di una delle realtà più prestigiose nel settore del design del mobile. La Tecno, che si definisce “azienda di progetto più che di prodotto”, predilige da sempre un approccio fondato sull'aspetto inventivo, che si esplicita in arredi realizzati attraverso avanzate procedure sperimentali di derivazione artigianale. Partendo da tali premesse, la sua progettualità ha raggiunto un elevato livello di affinamento, pervenendo alla definizione di prodotti che coniugano la sintesi della linea con la cura del dettaglio, la leggerezza con l'elevata resistenza; l'estetica essenziale con l'adattabilità al contesto.
Faranno da cornice al dibattito alcuni arredi originali realizzati dalla Tecno a partire dal 1953, unitamente ai recenti sistemi ufficio progettati degli architetti Norman Foster e Jean Nouvel, in un suggestivo allestimento che li porrà in dialogo con le opere del Maestro Arturo Casanova. Un accostamento non casuale, trattandosi di un artista attento a coniugare la propria libertà espressiva con la libertà interpretativa altrui, il quale «abbattendo le barriere tra le discipline, affronta ogni creazione facendo di essa la miscellanea perfetta tra pittura, scultura, video arte, installazione e perché no… design» (Luca Cantore D’Amore).

L’evento è patrocinato dall’ADI (Associazione per il Disegno Industriale, Delegazione Campania), dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Salerno e dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Salerno.